Le donne e il Duce

Lo Stato Fascista assegnava alla donna un ruolo di inferiorità e di subordinazione al maschio.

1929
Doveri della donna enunciati nel 1929

1. Compiere il proprio dovere di figlia, di sorella, di scolara, di amica, con bontà e letizia, anche se il dovere è talvolta faticoso;
2. Servire la Patria come la Mamma più grande, la Mamma di tutti i buoni Italiani;
3. Amare il Duce che la Patria ha resa più forte e più grande;
4. Obbedire con gioia ai superiori;
5. Avere il coraggio di opporsi a chi consiglia il male e deride l'onestà;
6. Educare il proprio corpo a vincere gli sforzi fisici e l'anima a non temere il dolore;
7. Fuggire la stupida vanità, ma amare le cose belle;
8. Amare il lavoro che è vita e armonia.
(Da I Fasci femminili, 1929)

1930
Poco elegante, non troppo bella...

«La donna italiana ideale deve essere [...] tre, cinque, dieci volte mamma» (Deve essere) «[...] poco elegante, non troppo bella, di corporatura normale, non accurata».
(Da M. Pompei su "Critica fascista" 1930)

1931
Donna madre


«La donna fascista deve essere fisicamente sana per poter diventare madre di figli sani, secondo le regole di vita indicate dal Duce nel memorabile discorso ai medici. Vanno quindi assolutamente eliminati i disegni di figure femminili artificiosamente dimagrate e mascolinizzate, che rappresentano il tipo di donna sterile della decandente civiltà occidentale».
(Da G. Polvarelli, capo ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, nelle direttive ai giornali, 1931)

1932
Essa non deve contare

«[...] La donna deve obbedire.
La mia opinione della sua parte nello Stato è opposta ad ogni femminismo. Naturalmente non deve essere schiava, ma se le concedessi il diritto elettorale, si deriderebbe. Nel nostro stato essa non deve contare». (Da E. Ludwig, Colloqui con Mussolini, 1932)

1934
La donna è del marito


«La donna non desidera più i diritti per cui lottava [. ..] (si torna) alla sana concezione della donna che è donna e non è uomo, col suo limite e quindi col suo valore [...]. Parlare di spirito non libera la donna dalla sua naturale sessualità, ma ve la incatena [...]. Perche l'elevazione di questo (lo spirito) non potrà mai influire su quello (il corpo), che resterà sempre lo stesso con la materialità greve e massiccia che la donna trascinerà seco per tutta la vita come il suo destino. Nella famiglia la donna è del marito, ed è quel che è in quanto è di lui.
Da G. Gentile, La donna nella coscienza moderna, 1934

1938
Il lavoro femminile


«La indiscutibile minore intelligenza della donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere da essa provata solo nella famiglia, quanto più onestamente intesa, cioè quanto maggiore sia la serietà del marito [...] La conseguenza dell'emancipazione culturale -anche nella cultura universitaria- porta a che sia impossibile che le idee acquisite permangano se la donna non trova un marito assai più colto di lei . «[...] deve diventare oggetto di disapprovazione, la donna che lascia le pareti domestiche per recarsi al lavoro, che in promiscuità con l'uomo gira per le strade, sui tram, sugli autobus, vive nelle officine e negli uffici... «[...] Il lavoro femminile - osserva il Danzi - crea nel contempo due danni: la «mascolinizzazione» della donna e l'aumento della disoccupazione maschile. La donna che lavora si avvia alla sterilità; perde la fiducia nell'uomo; concorre sempre di più ad elevare il tenore di vita delle varie classi sociali; considera la maternità come un impedimento, un ostacolo, una catena; se sposa difficil- mente riesce ad andare d'accordo col marito [...]; concorre alla corruzione dei costumi; in sintesi, inquina la vita della stirpe». (Da Ferdinando Loffredo, Politica della famiglia, 1938)


1941
Il cervello della donna

«La donna, secondo vecchie e recenti osservazioni, avrebbe nella trasmissione dei caratteri ereditari una funzione "normalizzatrice"; cioè di tendenza a conservare il tipo "medio" della razza, riconducendo a esso le deviazioni. Nell'eredità, l'influenza paterna favorirebbe la variabilità, l'influenza materna la stabilità [...] senza la maggiore variabilità del maschio, somatica e soprattutto psichica, senza la sua tendenza a divergere dalla media sia in bene sia in male, nessun progresso culturale, nessuna civiltà, si sarebbero potuti mai realizzare. «[...] la donna presenta una minore plasticità mentale (si ricordi la sua precocità di sviluppo), un maggiore spirito di conservazione, anzi un'accettazione passiva di idee bell'e fatte, delle pratiche già stabilite, degli antichi modi di essere e di pensare... «[. ..] non può capire una conoscenza fine a se stessa, la scienza per la scienza, il pensiero per il pensiero, la bellezza di una disinteressata ricerca della verità. La personalità più sbiadita della donna si riflette anche, fra l'altro, nella minore paura della morte...
«[. ..] Tuttora si discute se il cervello della donna pesi relativamente più o meno o quanto quello dell'uomo [...] Mingazzini e altri sostennero che il lobo frontale, sin dagli ultimi mesi della vita intruterina, è nei maschi più sviluppato, più massiccio, più solcato e con giri più tortuosi. Huschke giudicava il cervello della donna europea simile a quello dei negri...».

Da M.F. Cannella, Principi di psicologia razziale, 1941)

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Lettere al Duce

Queste due lettere, che abbiamo inserito nel nostro percorso, evidenziano i risultati della politica attuata dal Duce dalla sua ascesa al potere (1922) alla seconda guerra mondiale.
La prima è stata scritta il 28 novembre del 1941 da una mamma di sei figli, in attesa del settimo, di Valona, città dell’Albania, annessa al Regno d’Italia nel 1939.
Le donne madri prolifiche erano premiate dal regime perché ottemperavano al progetto fascista di “dare figli alla patria” secondo il motto di Mussolini: “E’ il numero che determina il valore e la grandezza di una nazione”.
Quei figli sarebbero poi stati immolati nelle future guerre di espansione e di conquista che avrebbero riscattato l’Italietta prefascista, potando l’Italia ad occupare un “posto al sole” tra le grandi nazioni.
La seconda lettera è del 1° aprile del 1942, quando il primo contingente del Regio Esercito (CSIR) stava combattendo in Russia al fianco delle armate tedesche impegnate nell’Operazione Barbarossa nella zona di Stalino.
Una madre disperata chiede al Duce di restituirle la salma dell’unico figlio caduto durante le prime fasi della campagna di Russia, dove era stato chiamato dalla Patria a combattere contro “i nemici di Dio e della Civiltà”.

28 novembre 1941
Ecelenza,
lo sottoscritta P Dina. Contadina Podere Valona. In questo momento di guerra e di dolore non volevo distrurbanvi: Ma è il bisogno mi vince scusatemi: mi trovo con sei bambini tutti piccoli inferiori ai 13 anni E per il Santo Natale debbo partorire per il settimo figlio neho 4 che vanno alla scuola e sono sprovisti di indumenti: e molte volte non posso mandarli perche non ha diche cosa vestirli senza scarpe, senza vestiti dogni sorta senza soldi abiatepietà. So che il vostro cuore e sempre pronto ad aiutare i poveri, Posso di vero cuore ringrariare la vostra amatissima sposa Donna Rachele che in avanti mi aiutò a vestire un po' i miei bambini. Viringrazio di vero cuore, Sincerità di madre augurandovi una salute ferrea a voi e a tutta la distintissima famiglia, vostra.
Ringraziandovi una seconda volta.
Vostra Dina P. Contadina Valona. figlia di M Giovanna

Duce,
col cuore spezzato dal più acuto dei dolori vengo a chiederVi una grazia, che sono sicura non mi negherete. Sono una povera madre addolorata: l'unico figlio chiamato dal dovere serviva con orgoglio la patria, combattendo in Russia contro i nemici di Dio e della civiltà. Alla vigilia del suo rientro in patria, nel campo di aviazione di Stalino, bombe micidiali sganciate dai Rossi, infransero la sua giovinezza Vorrei almeno il conforto di avere vicino la salma amata. Se non vivo, almeno morto, per coprirne ogni giorno la tomba di fiori. Che se per ora non sono consentite le traslazioni, so che per ogni regola esiste la eccezione. Si tratta di rendere meno crudele il martirio di una povera madre con questo conforto. Fidente che il vostro cuore di padre si commuoverà a questa mia supplica, sicura di essere esaudita nella mia domanda che ho scritto versando lagrime in un irrefrenabile pianto, mi dico dev ma madre del soldato.
R. Giovanni di Carmelo caduto per la Patria a Stalino in Russia il 1 aprile 1942.